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La grande illusione

Tra la fine del 1989 e i primi mesi del 1990, feci una mostra personale presso l’atrio della stazione delle ferrovie Nord a Milano. In quell’occasione esegui dei trampoli alti più di dieci metri infilati nelle fioriere decorative che facevano da arredo architettonico alle panchine dell’atrio della stazione.

A mio modesto parere era un lavoro che si armonizzava perfettamente con lo spazio alto e lungo dell’atrio. Alcuni miei amici mi dissero che era poco visibile, che non si capiva cosa volesse rappresentare, che il lavoro mancava di forza in quanto non era chiara l’immagine che volesse dare. Nel manifestino di invito cercai di precisare quale fosse lo spirito che mi aveva guidato e soprattutto verso quale direzione volessi andare.

“DALL’ALTO TOCCO LE COSE E LE IMMAGINI EVAPORANO IN FIGURE SENZA CONTORNO”

Naturalmente era solo un primo tentativo di trovare una strada, mentre combattevo immerso nel desiderio di toccare le cose, far vivere i materiali e trovare in loro la possibile immagine per l’opera, seguendo una lezione che avevo appreso dalla scuola della Casa degli artisti a Milano. Nel frattempo leggevo dai testi sulle Città invisibili di Calvino dei possibili rapporti tra i segni, i desideri, e soprattutto il ‘vedere’. La questione della possibile relazione tra figura e immagine mi ossessionava.

“L’uomo cammina per giornate tra gli alberi e le pietre. Raramente l’occhio si ferma su una cosa, ed quando l’ha riconosciuta per il segno di un’altra cosa: un’impronta sulla sabbia indica il passaggio della tigre, un pantano annuncia una vena d’acqua, il fiore dell’ibisco la fina dell’inverno. Tutto il resto è muto e intercambiabile; alberi e pietre sono soltanto ciò che sono. “   

Questo breve stralcio da la città e i segni forse, vi fa capire cosa dovessero significare quegli enormi trampoli collocati nell’atrio della stazione a Milano. Questa riflessione potrebbe farvi capire come si possano trovare dentro a dei segni le tracce di una figura piuttosto che di un’immagine.

Inoltre, questo ‘passaggio’ visto a distanza di quasi trent’anni potrebbe darvi un indizio, o una traccia per la comprensione al perché disegnare un portafortuna per un povero e disgraziato Movimento Antigravitazionale. Fu infatti nel 1995 che arrivai alla prima stesura del manifesto per il Movimento Antigravitazionale, nel quale espandendo quelle che erano le problematiche di un rapporto legato ai meccanismi del riconoscimento di un’immagine, puntavo l’indice tra quello che si definisce essere artisti e tutto quello che si porta con se in termini di immagine, e, dall’altra essere creativi. Ancora una volta, senza volerlo, il tema era quello del rapporto tra immagine (dell’artista) e figura (della creatività).

Anche in questo caso le critiche furono feroci. Ma il peggio arrivò negli anni successivi, anche perché i problemi sintattico grammaticali nella stesura del testo non lasciavano scampo a quella che fu l’era dei curatori. Dal ’95 ad oggi gli artisti sono diventati dei ‘cagnolini’ fedeli ai critici e curatori delle diverse occasioni espositive che si organizzavano.

Nella prima pagina del mio vecchio sito infatti mettevo una lunga frase che diceva: “Aah!…Adesso ho capito!…(era ora fotone!) ...Oggi fare l’artista è come correre in discesa trascinando un carrettino con sopra un cubo di ghiaccio. Se ti va bene ad un certo punto il carrettino e il ghiaccio ti investono. Così congelato come in una fiaba ti consegnano nella tua ‘grandezza’ alla memoria dei posteri…Forse!?… Invece, se ti va male, il carrettino arriva senza di te, oppure senza il ghiaccio, o ancora sia il carrettino che il ghiaccio escono dritti ad una curva sparendo in un burrone…Ohccacchio! Pazienza!?

Oggi con questo portafortuna sono ancora invischiato nella riflessione che vi è, tra quello che si definisce opera d’arte, e quello che al contrario potrebbe essere solo un segno. Il portafortuna che si può acquistare per pochi soldi è un adesivo, perfettamente riproducibile (alla faccia di Benjamin), e quindi di numero infinito, che intende superare l’unicità dell’opera, o del gesto dell’artista (vedi Manifesto del Movimento Antigravitazionale), per collocarsi come un semplice amuleto, che potrebbe stare in una tasca, facendo diventare i tuoi pantaloni il luogo del museo, oppure sul finestrino della tua auto divenendo supporto di un segno dal significato più ampio esattamente come lo è un’immagine. Lascio voi la decisione di farne quello che volete.

Al centro dell’amuleto compare l’immagine di un’aquila che vuole ricordare in modo meccanicistico il Museo delle Aquile di M. Broodthaers, e in particolare il fatto che, in rapporto alla fase pubblicistica dell’opera, questo amuleto in quanto adesivo, vuole essere demandata a voi. Non voglio essere io il pubblicitario delle mie opere, ma lo chiedo a voi, non ai critici o i curatori, che acquistando per pochi soldi l’adesivo fate in modo che questa ‘traccia’ diventi l’immagine che preferite.

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