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I soliti errori (da evitare)

San Paolo, Caracas, Detroit, Pripyat, Tegucigalpa, Houston, Luanda, Cesano Boscone, Chişinău, Gaza, Amman, Bosaso, Tor bella monaca, Città del Messico, Città del Guatemala, La Perla, San Juan, Bogotá, East St. Luis, Bagdad, Itzapalara, Osaka, Ostia, Secondigliano, gli edifici popolari di Via Aler a Milano, sono alcuni degli esempi che si possono indicare per dare l’idea di come l’architettura, sbagliando, non abbia saputo trovare la risposta giusta alla crisi abitativa, sia essa da cause naturali, belliche o solo demografico-migratorie.

Si potrebbe portare l’esempio del campo di internamento di Drancy in Francia, nato come quartiere d’abitazione popolare e divenuto un campo di smistamento per gli ebrei durante la seconda guerra ad opera dei Nazisti,  per capire come certe costruzioni si prestino facilmente al fraintendimento e al riutilizzo ad altra destinazione difficilmente condivisibile. Nell’adesivo in questione sovrappongo immagini relative a scuole di alta formazione politecnica, a cui spesso si sono istruiti capi o semplici soldati Jihadisti, trovando in questi luoghi il giusto complemento per innescare la contestazione e la protesta verso un presunto potere e le architetture più comunemente conosciute come popolari, che assieme a quelle più studiate sui libri di storia indicate come esempio di razionalismo, lasciano a noi una eredità decisamente tragica. Oggi la discussione su come costruire si sta lentamente spostando su modelli che assomigliano molto alle favelas di Rio, ma nonostante tutto non possiamo dire che il problema si sia risolto. Implicitamente addito come primo artefice di tali negativi modelli costruttivo architettonici l’architetto Le Corbusier, ma non dobbiamo nasconderci che a distanza di 52 anni dalla sua morte il problema non ha ancora trovato una soluzione.  

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