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Venezia

Il passaggio da Venezia avviene in due tempi diversi. Uno nel 1995 con la consegna da parte di Paolo Baratta del premio Biennale Arti a Mattew Barney, e l’altro nel 2017 con l’auto-incensazione di Damien Hirst a Palazzo Grassi grazie alla collaborazione di Francois Pinault. Io credo che leggendo gli adesivi si possa capire quali siano le mie dovute conclusioni. Ma una domanda lecita, sia pur retorica, bisognerebbe porsela. Quali risposte sono stati in grado di dare questi due artisti decisamente affermati, e quindi nella loro piena libertà di azione e di pensiero, rispetto alla secolarizzazione, in senso lato, che il mercato ha operato in questi ultimi quarant’anni nel confronto dell’Arte e degli artisti?

La responsabilità del disastro a cui stiamo assistendo sia sul piano culturale-ambientale che politico-amministrativo è comprensibilmente parte costitutiva delle dinamiche sociali ed economiche di un sistema ancora incapace di confrontare l’eterogeneità del mondo, piccolo e locale, con quello, terminologicamente definito, globale. Sul piano analitico si evince difficile, se non impossibile, trovarne una ‘medias res’ che sappia rispondere a tutte le diversità e tenere le rotta su una via unica. Insomma, aprendo la visuale sul piano diacronico possiamo affermare che essendo noi, ancora storicamente nella spinta propulsivo-inerziale della fase post-bellica e del suo riassetto strategico politico, dobbiamo chiederci: in che modo gli artisti hanno saputo dare un loro contributo? Il primo Artista che ha cercato di portare il tema di un maggiore impegno in tal senso è stato Josef Beuys. L’ultimo l’ex sindaco di Tirana Edi Rama e il suo collaboratore Adrian Paci alla biennale ‘viva arte viva’ del 2017. E qui torniamo a Venezia. In quel contesto hanno affermato (Edi Rama e Adrian Paci), che “In un mondo pieno di conflitti e scossoni, in cui l’umanesimo è seriamente compromesso, l’arte è la parte più preziosa dell’essere umano. E’ il luogo ideale per la riflessione, per l’espressione individuale, per la libertà e per le domande fondamentali. Si tratta di un “si” alla vita, anche se a volte preceduto da un “ma”. Più che mai, il ruolo, la voce e la responsabilità dell’artista sono cruciali nel quadro del dibattito contemporaneo”.

Dobbiamo sperare nelle future generazioni o nelle tecnologie avanguardistiche per la pulizia e il disinquinamento del mondo? Dall’arte e dagli artisti, direi ancora poco se non quasi niente… Nei due esempi portati dai miei adesivi posso affermare con certezza che né Mattew Barney con la sua idea di creatività legata al muscolo Cremanster, né Damien Hirst con il suo incredibile ritrovamento del tesoro di Amotan, assolvono alla responsabilità richiamata poco sopra dall’ex sindaco di Tirana.

Ab ovo potrei aggiungere che ancora e non solo è triste assistere, per l’ennesima volta, dopo Salvatore Settis (Italia S.p.A., Einaudi 2002) alla pubblicazione di un Pamphlet di Tommaso Montanari e Vincenzo Trione (Contro le mostre, Einaudi 2017 ), in cui dalle istituzioni ministeriali al sistema dei media non si vede nulla di salvifico o positivo, ma tanto per non soffiare troppo sul fuoco, mi sconforta leggere sull’ultimo numero del Giornale dell’Arte una intervista alla direttrice di ArteFiera di Bologna, nonché Docente dello Iuav di Venezia (guarda a caso ancora Venezia), Angela Vettese, che le aspettative per la 42a edizione bolognese è tutta affidata al singolo e quindi alle 150 gallerie presenti. Come afferma la direttrice Angela Vettese “vorrei che i galleristi ritrovassero e dimostrassero il coraggio di fare scelte precise”.

Da soli non si va da nessuna parte, diceva Fausto Melotti, e io ne sono la dimostrazione evidente solo per il fatto di avere scritto un manifesto antigravitazionale in cui si enunciava l’esigenza del lavorare nella dimensione del NOI invece che dell’IO, e di non essere riuscito ad arrivare a nulla.

Auguri di Buon Anno. Spero solo che, con i miei adesivi e i loro messaggi a volte cripticamente sarcastici, sia chiaro che è necessario e fondamentale riprendersi in mano il ruolo culturale e comunicativo che ci spetta come artisti. Non serve dimostrare questo assunto con circonvoluzioni intellettuali e filosofiche di vario spessore e provenienza, ma solo muoversi in tale direzione sapendo che dalle istituzioni e dagli altri in generale non possiamo aspettarci niente, ma non perché non condividano la mia o la vostra posizione, ma semplicemente perché come dice Tommaso Montanari siamo (tutti) spesso troppo impegnati a scrivere e fare discorsi roboanti in favore delle telecamere invece che occuparci delle cose fondamentali e prioritarie.

Matteo Donati, Dicembre 2017

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