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La cop(p)ia

L’altro giorno leggevo un articolo sul Giornale dell’Arte, a proposito del tema dei falsi o delle copie d’autore, da una lezione magistrale tenuta da Jean Clair nel 2013 alla fondazione Zeri di Bologna. Nell’intervento, ad un certo punto mi ha incuriosito il modo di trattare il metodo analitico critico dell’iconologia di Erwin Panofsky. Il metodo, come sappiamo, fu definito verso la metà del XX secolo per determinare un’interpretazione che sapesse andare oltre l’analisi iconografica, per trovare, con esattezza ‘suprema’, il significato delle immagini, e delle opere d’Arte in relazione al contesto culturale e sociale, e riuscire con più precisione determinare l’attribuzione e il significato delle opere d’Arte. Stavo leggendo, quando la mia semplice e curiosa attenzione è passata ad un livello superiore, divenendo interesse spasmodico. Jean Clair, infatti, additando negativamente Federico Zeri per aver sostenuto che il metodo iconologico non si potesse utilizzare in modo estensivo per comprendere e fare attribuzioni sulle opere d’Arte della contemporaneità, mi faceva saltare sulla sedia, creandomi una accesa reazione emotiva di perplessità. Infatti, l’impossibilità del metodo iconologico, sostenuta da Federico Zeri ed esposta da Jean Clair, sembrerebbe essere legata al fatto che le opere di Arte Contemporanea instaurano un rapporto troppo stretto tra la materia di cui sono composte e le immagini che rappresentano, causando una difficile e scivolosa interpretazione che spesso sfugge alla decifrazione e alla comprensione. Ad esempio i quadri di Mondrian o di Malevic risulterebbero inutili elucubrazioni incomprensibili e senza un vero significato.  Ero allibito, e nella mia beata ignoranza devo confessare di avere spesso pensato, esattamente il contrario, e cioè che il metodo iconologico fosse nato e sviluppato proprio come conseguenza della diffusione della pittura non oggettiva o astratta. Sempre più incuriosito continuo la lettura, per scoprire con altrettanto stupore che in relazione al titolo dell’articolo legato alle copie e quindi anche ai falsi, le opere di Arte contemporanea (vedi le stampe serigrafiche di Andy Wahrol) necessitano, molto di più di una volta, del metodo iconologico, o meglio di scoprire quale sia il significato che si cela dietro alle semplici immagini. Secondo Jean Clair, infatti, oggi il metodo iconologico viene nuovamente rivalutato proprio di fronte alle opere contemporanee, che per la loro facilitata riproducibilità tecnica, innescano un meccanismo di esegesi che va oltre alla diretta analisi dell’unica e originale opera d’arte, divenendo così un metodo che è in grado di sviscerare la qualità concettuale e iconologica del lavoro andando oltre alla dettagliata analisi della tecnica esecutiva nella sua unicità e originalità. Insomma dapprima mi sono trovato di fronte ad una iconologia praticamente moribonda, per poi vederla rinascere, secondo Jean Clair, proprio grazie alla riproducibilità tecnica e alla sua capacità di farne delle copie, ma anche, perché no dei falsi. Proprio un brutto colpo per Benjamin (a pensarci bene trovai ridicolo che la comprensione dei quadri astratti sia da attribuirsi alla rivoluzione pop di Andy Wahrol. Inoltre mi piacerebbe sapere perché quando si parla di copie non viene mai fuori il nome di Toulouse Lautrec?). Tutti, forse, possediamo, senza saperlo un Lucio Fontana falso, o una copia di un De Chirico nel cassetto (io ho una affiche di Fausto Melotti) ma la certificazione valutativa che ne possiamo ricevere non sta nelle strampalate attribuzioni che un critico esperto si può inventare (dice Jean Cllair), quanto nel fatto che si parli del concetto e del significato che l’opera e il suo presunto autore, sono riusciti a trasmettere (io ho anche un vecchio manifesto di una mostra di Jannis Kounnellis: pensate possa valere qualcosa?). Spesso si è sentito dire, e poi si è visto, di come gli artisti moderni e contemporanei, per esigenza di contratto con diversi collezionisti e galleristi, facciano di un lavoro, diverse copie. Naturalmente non è solo un’esigenza di mercato a cui l’artista contemporaneo è chiamato a rispondere, ma anche un fattore divulgativo, per cui l’opera, essendo in casa di diversi collezionisti, apre alla discussione, fa parlare di sé ad un livello più ampio, dando ai possessori dell’opera non solo la possibilità di mostrarne il valore, ma spesso di esserne dei profondi conoscitori, sia dell’opera che dell’autore. Già De Chirico ne parlava, ma anche lo stesso Medardo Rosso, come Boccioni e poi Magritte. Insomma il metodo iconologico servirebbe a certificare che non conta la singola opera, bensì il suo parlarne come fatto antropologico-sociale e culturale. Il suo riconoscimento di statuto di opera non è nella sua certificata attribuzione ma nel suo condividerne una discussione e un confronto sul suo possibile significato interpretativo. Ecco come l’iconologia, secondo Jean Clair e nel suo ferrato discorso di elogio della copia, o del falso, trova la sua rinnovata rinascita, in un terreno che profuma di sociologia giustificativa del mercato dell’Arte. Che il nuovo rinascimento spesso decantato dalla cultura francese (vedi J. Attalì) si annidi nella capacità riproduttiva delle opere e quindi come tale nella loro fruizione sempre più allargata? Non lo so e non mi arrovello per cercare di sapere quale sia la nostra prossima, ma breve, storia del futuro. Sono contento, però, che la mia idea di stampare adesivi e venderli come unici originali di autore riceva, anche nel pensiero di Jean Clair un degno riconoscimento.

Ora, nell’adesivo perfettamente riproducibile, che qui sopra vi riporto, mi domando e vi chiedo come mai non si sono ricostruite le torri gemelle dopo il loro crollo a seguito dell’attacco aereo fatto dagli jihadisti? Secondo Jean Clair si potevano fare delle copie? O dei falsi d’autore visto che gli Architetti sono già morti? Nell’immagine, infatti, mi immedesimo nel pilota del piccolo aereo, che rischiando di urtare le torri, trova la soluzione passandogli attraverso per evitare l’impatto. Io sono convinto che bisogna avere cura e rispetto del passato come delle cose e delle persone per fare l’artista contemporaneo, e non basta semplicemente trovare un proprio stile o una capacità espressiva. Proporre l’idea di vendere degli adesivi a tiratura illimitata come copie uniche è proprio lo spirito e il significato di quello che sto facendo.

Sappiamo tutti che gli architetti delle Twin Towers hanno lasciato traccia dei loro progetti e del loro modo di costruire, per cui le si poteva riprodurre in ogni dettaglio. Ricostruirle, forse, avrebbe significato annullare o sminuire un atto di guerra per amplificare la bellezza di tali costruzioni architettoniche.

Un corpo umano ferito, più o meno gravemente, cerca di ritornare allo stato di salute precedente all’incidente in un tempo più breve possibile. Così vale anche per le opere d’Arte. Invece al posto delle Twin Towers si è voluto costruire un memoriale, quasi si paventasse il rischio di dimenticare l’accaduto. La trattazione fatta poc’anzi sul tema della copia o del falso fatta da Jean Clair, assieme alla mia meravigliata scoperta che l’iconologia è morta per poi rinascere apre esattamente, in senso opposto, alla condizione in cui si trova l’uomo moderno e alla conseguente necessità di assumersi la responsabilità delle sue capacità tecnico-riproduttive. Possibilità che da oggi in avanti assume, a mio modesto avviso, un significato eminentemente politico, non solo grazie al metodo dell’iconologia, ma perché sempre di più la capacità di scegliere e avere cura di ciò che si è fatto di positivo fino ad ora assume un importanza sempre maggiore. Così, nel caso del mio adesivo riguardante l’11 settembre e le bellissime torri gemelle, rimpiango la scelta di non avere visto ricostruite le Twin Towers, ma non ho nessun rimorso nell’affermare che la copia come il copyleft siano importanti e significativi come l’dea che la ricostruzione del PAC di Milano dopo la bomba che lo distrusse fu e rimane la scelta migliore.

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