Tra la fine del 1989 e i primi mesi del 1990, feci una mostra personale presso l’atrio della stazione delle ferrovie Nord a Milano. In quell’occasione esegui dei trampoli alti più di dieci metri infilati nelle fioriere decorative che facevano da arredo architettonico alle panchine dell’atrio della stazione.
A mio modesto parere era un lavoro che si armonizzava perfettamente con lo spazio alto e lungo dell’atrio. Alcuni miei amici mi dissero che era poco visibile, che non si capiva cosa volesse rappresentare, che il lavoro mancava di forza in quanto non era chiara l’immagine che volesse dare. Nel manifestino di invito cercai di precisare quale fosse lo spirito che mi aveva guidato e soprattutto verso quale direzione volessi andare.
“DALL’ALTO TOCCO LE COSE E LE IMMAGINI EVAPORANO IN FIGURE SENZA CONTORNO”
Naturalmente era solo un primo tentativo di trovare una strada, mentre combattevo immerso nel desiderio di toccare le cose, far vivere i materiali e trovare in loro la possibile immagine per l’opera, seguendo una lezione che avevo appreso dalla scuola della Casa degli artisti a Milano. Nel frattempo leggevo dai testi sulle Città invisibili di Calvino dei possibili rapporti tra i segni, i desideri, e soprattutto il ‘vedere’. La questione della possibile relazione tra figura e immagine mi ossessionava.