Close

Milano vs Napoli: Chi ha avuto ha avuto ha avuto…chi ha dato ha dato ha dato…e scurdàmmoce ‘o ppassato

Il passaggio da Milano evoca sostanzialmente due immagini.

Una è quella della fontana dei bagni misteriosi di Giorgio De Chirico e l’altra la ricostruzione del lavoro di AVABLOB venticinque anni dopo la sua realizzazione, nella esposizione temporanea di ENNESIMA a cura di Vincenzo De Bellis.

Per quanto riguarda la prima rimane poco da aggiungere, se non il rammarico di sapere che dopo anni di accesa polemica per la mancata cura di una dei lavoro più belli di De Chirico, si sia ceduto alle lusinghe della MAPEI, che voleva intervenire con i suoi cementi colorati per impermeabilizzare e riempire di acqua tutto il gruppo scultoreo. Oggi se volete andare a vedere la fontana in oggetto dovete ricordarvi che all’origine l’acqua non c’era, e che lo stesso De Chirico dovette combattere ferocemente con le autorità della Triennale per convincere tutti che la rappresentazione dell’acqua era di per sé un fatto metafisico. Nella fontana, la goffaggine dei personaggi e il loro coesistere quasi come in un fumetto è quello che ci permette di vedere l’acqua anche se non c’è.  Di fronte alle sculture della fontana di De Chirico si ritorna bambini, e come quando da piccoli si giocava con le macchinine facendo il rumore del motore che non c’era, ora di fronte all’opera di De Chirico si riesce a sentire l’acqua che scorre anche se non c’è. Il restauro di qualche anno fa della Mapei ha snaturato completamente questo rapporto. Ci si imbambola davanti all’acqua, se ne vede il riflesso, e non si riesce ad immaginare niente. Il mio adesivo a tonalità verde-giallo mette in mostra quello che ci sarebbe potuto immaginare osservando la Fontana senza l’acqua, facendo intervenire Giorgio De Chirico mentre esce dalla cabina da bagno come paciere di fronte alla stupidità delle persone che giocano e litigano su delle regole di convenienza. Anche l’aereo che passa non vede altra alternativa che precipitare.

 

Il secondo adesivo riguarda la ricostruzione del lavoro di AVANBLOB del 1990 (galleria Massimo de Carlo a Milano) fatta nel 2015 alla Triennale in occasione della mostra temporanea di ENNESIMA, avvenuta a pochi passi dalla fontana di De Chirico. Per questo evento, oltre all’adesivo che ho distribuito nel giorno dell’inaugurazione, scrissi un testo ( vedi qui ) divertente e irriverente allo stesso tempo, ma che dava abbastanza bene il clima di rinnovata euforia di fronte a qualcosa che nessuno dei partecipanti si aspettava succedesse: la storicizzazione.

Questo adesivo dai toni grigio rossi l’ho titolato “La triade hegeliana”, perché mi faceva tornare alla memoria un testo scritto da Remo Bodei sull’idealismo tedesco che ha come titolo La civetta e la talpa, e che senza volerlo mi venne in aiuto mentre disegnavo e riflettevo su quale significato potesse avere ricostruire dopo 25 anni un lavoro comune come AVANBLOB, e soprattutto cosa dovesse comportare la sua storicizzazione.

Tutti sappiamo che Hegel ha reso la dialettica classica uno strumento di conoscenza non solo basato sul principio di non contraddizione, ma anche su una idea evolutiva-involutiva che ben si rappresenta nella forma della spirale, che ci permette di toccare tutti i diversi punti del contraddittorio dialettico e, allo steso tempo tenerli assieme nella sintesi.

Remo Bodei, infatti, nel suo libro La civetta e la talpa, rilegge la dialettica e la sua triade (tesi, antitesi e sintesi), come un gioco di contrapposizione tra la civetta - intesa come la sapienza attenta e guardinga - e la talpa cieca, che con la sua irruenza impersona lo spirito del tempo e che si muove di fronte e dentro la storia determinando senza volerlo dei disastri.  Nel mio adesivo, infatti, la talpa in primo piano, che trova identificazione nella persona di Liliana Moro, si muove in modo convulso e caotico, determinando il crollo del muro e con esso di molte certezze, e senza vedere e sentire, prosegue per la sua strada nonostante dall’alto di una scaletta un lemure, impersonato da Bernard Rudiger, gentile e attempato, agiti un vessillo rosso per richiamare la sua attenzione e indicarle la strada. Nel frattempo, a destra un furbesco topo investigatore nelle indimenticabili spoglie di Geronimo Stilton, che richiama Mario Airò, se la spassa, e approfittando della calma si infila nella porticina rossa per trovare la sua amaca su cui beatamente cullarsi. Insomma, dall’adesivo si evince che la ricostruzione non ha accompagnato la sperata storicizzazione.

Ma andiamo ad analizzare dettagliatamente gli interventi critici nel catalogo della mostra di Ennesima che dalla premessa di De Bellis voleva essere una carrellata rappresentativa della migliore Arte italiana degli ultimi 40 anni. Effettivamente se dovessi fermarmi al lavoro di Luciano Fabro posto in ingresso all’esposizione dovrei solo confermare le intenzioni. Una vera e propria ‘meta-mostra’ (sette mostre dentro una unica mostra legata da lavori site specific), come la definisce Vincenzo De Bellis, che senza pretese viene qui associata, dal sottoscritto, alla ‘Meta-fontana’ di De Chirico, proprio per quell’esito ancora incerto che la ricostruzione del lavoro di Avanblob ha avuto.

Nel primo intervento la geniale competenza archivistica di Cristina Baldacci ha sapientemente trovato una citazione di Frank Perrin del 1992, che analizzando il diffondersi dei gruppi artistici in Francia, come parallelo alla nascita del gruppo di Lazzaro Palazzi, dice: “…Più che come una addizione, il gruppo funziona come una macchina. Qui si insinua un secondo paradosso, un gruppo non raggruppa, ma disperde…” Sarebbe stato carino da parte della Baldacci spiegare cosa significasse per Frank Perrin il termine disperdere, ma risulta chiaro fin dalle prime righe dell’intervento che quella che avrebbe dovuto essere una ricostruzione ben fatta, sarebbe terminata, nel testo scritto a catalogo, con il classico commiato sospensivo che dice appunto di avere, almeno fatto un primo tentativo per “rimettere in circolazione le immagini dello Spazio (di Lazzaro Palazzi) sotto forma di documenti."

Altrettanto brava è stata Paola Nicolin nel suo “Autoritratto di una mostra” in cui partendo dalla descrizione delle specifiche del contratto di vendita del lavoro di Avanblob traccia la sua unicità nella indivisibilità. Il vincolo espresso nel contratto di vendita, fatto con la galleria Massimo De Carlo, era appunto quello di non separare i pezzi e di vendere tutto il lavoro dei 12 artisti assieme. Da questa unicità nata nel 1990 si passa alla sua riproducibilità del 2015 e quindi, alla necessità di trovare una riflessione critica che sappia indicare le caratteristiche del lavoro o dell’idea che fece da motore alla realizzazione di Avanblob come lavoro unico. Le conclusioni, anche in questo caso, arrivano frammentarie dagli artisti (Dugnani, Donati, Rudiger, Ruggieri), che con lievi differenze segnalano l’importanza di avere costruito un lavoro compatto fatto da dentro, e che costringeva lo spettatore ad entrare per poi uscire come Pinocchio vomitato fuori dalla pancia del pescecane, per tentare di ricostruire l’esperienza come fatto estetico d’insieme.

 Vi è poi l’intervento di Andrea Villani che nella dettagliata analisi dei decenni che vanno dagli anni Sessanta ad oggi cerca di rintracciare le caratteristiche di una sorta di resilienza all’autonomia dell’arte peculiarmente italiana. Ed è proprio introducendo il decennio Ottanta Novanta che, a proposito della resilienza all’autonomia dell’Arte Italiana, pone come atto fondativo il telegramma di  l’abbandono dell’arte di Francesco Matarrese, che con un rifiuto alla produzione e realizzazione di opere astratte apre allo scenario indistinto e individuale della vita dopo l’arte. “Cosa c’è dopo l’Arte? Come faccio a spiegare che quello che c’è dopo l’Arte sia Arte? Come faccio a spiegarlo a mia madre che quello che faccio non è vero che non serve a niente?” Insomma la scelta di Matarrese di cercare una vita appartata e riflessiva (forse parallela), sembrava andare nella direzione di un allontanamento dalla frenesia della Milano da bere, per cercare nella costituzione del gruppo una forza che sapesse dialogare con il mondo. La discussione e il confronto è ciò che ha guidato la creazione della mostra Politica a Novi Ligure, e anche se il titolo non ha niente a che fare con un impegno in tal senso, il clima e il carattere di discussione e confronto tra artisti e cittadini fu sicuramente quello che fece la differenza in tutti gli anni Ottanta. Nella riflessione che caratterizza tutto il clima milanese di quegli anni, anche Viliani concorda sul fatto che la congiunzione della rivista Tiracorrendo e la nascita del gruppo di Via Lazzaro Palazzi fossero l’unico sprazzo di reazione collettiva ad una situazione indistintamente individualizzata e apolitica. Ma anche Viliani come Baldacci e Nicolin, cede all’idea di una fine sulla lettera di commiato di Mario Airò che passa come l’unico ad aver capito che la sola strada percorribile dopo Avanblob, nel ricordo del gesto di Matarrese, fosse quella del chiudere con il passato e, senza rancori andare ognuno per la propria strada. Quello che non dice Viliani e che invece sottolinea Nicolin, è che in quei mesi di lavoro alla realizzazione di Avanblob, con De Carlo Airò aveva già firmato un contratto con il gallerista che gli garantiva tranquillità e lavoro per gli anni a venire. Il suo andarsene, quindi, non era un abbandono alla Matarrese e tanto meno un gesto di resilienza, ma solo un banale atto di convenienza (infatti nell’adesivo Mario Airò è rappresentato come un topo furbacchione che trova nel verbo aggeggiare l’unico atteggiamento possibile come artista).

Ora i toni del mio scrivere si fanno un po’ rancorosi, ma spesso mi sono domandato come mai, nonostante le mie ripetute segnalazioni, dei critici così attenti ai fatti e agli avvenimenti degli anni immediatamente successivi alla realizzazione di Avanblob sottolineino una lettera privata di commiato di Airò inviata solamente ai singoli partecipanti del gruppo di Lazzaro Palazzi, e non abbiano mai letto o visto un articolo pubblicato su Juliet nel 1992. L’articolo, scritto due anni dopo la mostra di Avanblob compare con firma Matteo Da Saronno (alias Matteo Donati) come un pubblico commiato dal gruppo di Lazzaro Palazzi.  Qui in modo esplicito facendo riferimento al concetto di GENIO ( vedi qui ) di horderliana memoria sottolineo che le cose non sono cambiate. Che oggi come ieri si opera nell’idea che riciclare e fare citazioni riutilizzando gli stessi strumenti intellettuali e le stesse pratiche artistiche siano il solo modo individuale e involontario per sopravvivere ad un mercato autoavverantesi e ripetitivo. Ma Viliani insiste nel voler mettere le parole usate da Airò nella sua lettera come una chiusa temporale, anche se a parti invertite, sul clima degli anni Novanta, e vede in questa scelta un ritorno ad un rapporto individuale con il mondo dell’arte che ha avuto come inizio il telegramma di abbandono di Matarrese. Paola Nicolin, invece, ritiene l’uscita dal gruppo di Airò come la dichiarazione di fallimento, anche se sottolinea che dai fallimenti in Arte si è spesso ricavato qualcosa di proficuo.  

Ecco la ragione del titolo di questo scritto, ma anche e ancora purtroppo il rammarico del fatto che dopo 25 anni il lavoro in comune di Avanblob, la sua ricostruzione non abbia sortito nulla di costruttivo sul piano storico. Abbiamo perso un’occasione, ma spero si possa ripresentare, perché per quanto il lavoro archivistico vada completato e migliorato, sicuramente potrà servire in futuro ad altre riflessioni.

Va anche detto che all’epoca, purtroppo, non c’è stata da parte di nessuno dei componenti del gruppo un’adeguata riflessione critica su quello che si è fatto, lasciando alla libertà del singolo una possibile soluzione senza pensare all’eventualità di ripetersi, di riprovare in un’altra situazione, in un nuovo lavoro comune. Ora abbiamo un passato ma non sappiamo di cosa si tratta, e in modo involuto, per far riferimento al libro di Bodei, preferiamo non darne una definizione per evitare categorizzazioni che potrebbero risultare scomode o troppo strette. Insomma ancora una volta ha vinto la talpa, lo spirito del tempo, l’italianità e la sua strenua difesa dell’autonomia artistica che se fossimo a Napoli passerebbe con il ritornello della famosa tarantella Simmo e napule paisà: “Chi ha avuto ha avuto ha avuto…chi ha dato ha dato ha dato…e scurdàmmoce ‘oppassato”

Matteo Donati Dicembre 2017

 

 

 

 

 

Loading...
Loading...